Pittore, attraverso l’uso dei cromatismi, materici e accesi, e lo studio sugli effetti di luce, indagati a partire dall’impiego di materiali riflettenti, quali la resina e la foglia oro, mira a trasformare l’osservazione del dipinto in una sorta di viaggio interiore, che si realizza grazie all’artificio dei colori fluo. Percezione ed emozione sono chiamati in gioco, così come la messa in discussione dello stesso concetto di “icona”.
Colore, energia, dinamismo: in che modo le tecniche e i procedimenti artistici che hai esplorato nel corso della tua carriera accademica e poi lavorativa hanno influenzato e contaminato la nascita del tuo stile peculiare?
Il colore è sempre stato alla base tanto del mio lavoro, quanto dell’arte. Ma l’energia e il dinamismo non sono una logica conseguenza, qui ci sono radici più profonde. Il lavoro di mio papà, allenatore di calcio, mi ha portato a viaggiare molto in età formativa, il che mi ha consentito di fare tante esperienze importanti e impermanenti, un mood che ho fatto mio, fondendo stile di vita con il lavoro, e di conseguenza con l’arte. I materiali che utilizzo per realizzare le mie opere li ho sperimentati anche sul lavoro, mescolando resine di varie qualità oltre trent’anni fa, e non andava sempre bene, ora finiscono sui miei quadri riservandomi ancora qualche dispetto. Ma è anche questo un aspetto interessante della ricerca, una sfida: nulla è mai scontato e talvolta la progressione sta proprio in quell’imprevisto che mi consente una svolta. L’energia quindi la riconduco all’inesauribile voglia di sperimentare, e il dinamismo nell’imprevisto e le sue conseguenze nel percorso artistico. Per chiudere il cerchio, è un po’ come viaggiare, conosci il nome della meta ma non puoi prevedere tutto ciò che accadrà e da qualsiasi esperienza puoi trarre beneficio. In questo senso ritengo molto importanti anche le partecipazioni alle mostre collettive, recentemente ho partecipato alla mostra “Venezia in Maschera” a Palazzo Pisani, Venezia, organizzata dal crotoco d’arte e curatrice Maria Palladino, e qui ho avuto modo di conoscere, confrontarmi con qualche artista, con Doi Coimbra in particolare c’è stato un interessante scambio suggestioni, lui si occupa di Fluid Art e al mio rientro ho inserito nei nuovi lavori delle incursioni di Fluid Art. Cerco di rimanere aperto a qualsiasi contaminazione.
Il tuo stile si potrebbe definire “espressionista Pop”: quali elementi di innovazione, sia formali che concettuali, intendi comunicare con esso?
L’ Arte Pop è il gancio che utilizzo per comunicare con immediatezza, e mi aiuta nella scelta del soggetto da rappresentare, a questo si abbina la tecnica a spatola, che è una sintesi: Pop e spatola generano un risultato simile alle illustrazioni WPAP, in questo processo c’è un gradiente originale e moderno al passo con l’ossessione di massa più diffusa, la visualizzazione quotidiana di immagini digitali. La ricerca consiste in un connubio tra arte digitale e pittorico/materica, poi ci sono i colori fluo che offrono una chiave di lettura ancora più suggestiva e reazionaria. I nostri occhi si stanno abituando a recepire milioni di colori trasmessi dagli schermi dei nostri dispositivi video, una realtà alterata e fino a pochi anni or sono inimmaginabile, ecco perché trovo stimolante dipingere con i colori fluo: gli smartphone non sono in grado di trasmettere la fluorescenza. In pratica, mi affascina utilizzare dei colori che per vederli è necessario farlo dal vivo, una suggestione che uno schermo digitale non può ritornare.
Sbavature, prolungamenti, barbagli di colore suggeriscono il fondersi dei soggetti nello spazio, similmente a scie luminose che li attraversino per lasciare traccia del loro movimento e dello stesso impulso vitale in loro insito. Si tratta forse di un richiamo metaforico alla frenesia spersonalizzante della nostra epoca, che ci fa smarrire la percezione precisa dei contorni delle cose?
La definizione dei dettagli blocca il soggetto e quindi il tema, inoltre richiedono una lettura più impegnativa e non è questo che voglio ottenere. Cerco di “camminare” al passo dell’osservatore, in un breve viaggio condiviso, quasi come una melodia musicale. Concedimi l’esempio: un brano musicale ti rapisce per cinque minuti e a volte ti cambia l’umore, ti rilassa o ti eccita, quale che sia la musica è universale, a me basta questo, rapire la tua attenzione per qualche minuto e forse chissà, se ti ho colpito, ti ho anche lasciato qualcosa. Vado oltre, forse troppo, se dico che più di un richiamo metaforico vuole essere una provocazione per distrarre dalla frenesia spersonalizzante e ritrovare la percezione delle cose, proprio come la musica un’opera d’arte quale che sia, a livello emotivo, è in grado di farlo.
Osserviamo nei tuoi dipinti soggetti iconici: animali-simbolo e personaggi famosi, figure enigmatiche che sembrano significativamente racchiudere concetti. L’arte Pop fin dalla sua origine svuota di senso gli stessi feticci che crea. Come pensi sia applicabile questo processo, alla luce del contemporaneo e della tua arte?
L’arte Pop non prevede troppi filtri, perlopiù è immediata, proprio per questa sua potenzialità comunicativa trovo sia opportuno inserirvi anche dei contenuti. Le rappresentazioni delle icone Pop nell’arte hanno fossilizzato e imbalsamato negli anni figure controverse, tutt’altro che esempi di vita, grandi per quel quarto d’ora di gloria, ma spesso con vite devastate. Trovo sia interessante rivedere queste icone con un taglio più introspettivo e rileggerle per quello che sono state, inarrivabili e irripetibili, ma riflettiamo sul prezzo che spesso è stato pagato per raggiungere certe vette. Oggi è giusto svestire certe figure dei panni del mito, e rivalutarle per ciò che hanno fatto nel loro ambito, ecco perché le mie interpretazioni ti osservano in quel modo, da un lato ti interrogano sulla vita dall’altro si celebrano. Quel che resta deve essere l’aspetto emozionale, soprattutto l’entusiasmo, e cito un maestro della Pop art, uno dei miei riferimenti, LeRoy Neiman, che diceva: ”Non mi allontano dai colori presi in prestito dalla vita”. La sua era una pittura esplosiva e vitale, dipingeva entusiasmo nella sua forma più pura.
La tua pittura è innegabilmente, inoltre, una pittura di luce, che genera bagliori improvvisi e il luminismo domina, costruito attraverso il colore. Quale messaggio vuole trasmettere la luce nei tuoi dipinti?
Mi interessa l’interazione tra l’osservatore e il dipinto, materiali come la foglia oro riflettono la luce che ricevono, fredda, calda e persino UV, una narrazione che muta nell’arco della giornata a seconda della luce che li investe. Il bagno di luce porta con sé anche la sagoma dell’osservatore, che in qualche modo entra nel dipinto e interagisce. A differenza di Hopper che catturava la luce, io la ritorno all’ambiente attraverso la riflettenza.
Ti sei dedicato e ti dedichi a realizzare inoltre progetti in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, che coinvolgono le arti visive. Quale ritieni possa essere la funzione dell’espressione e della fruizione artistica nella società attuale?
L’arte ha il potere di arrivare alle masse e sensibilizzare su temi sociali importanti, grazie alla Street Art ha riportato in auge la sua forza divulgativa che aveva smarrito a favore di percorsi artistici individuali, e quindi gioco forza del sistema Arte, destinandola a pochi e facoltosi collezionisti. La Street Art è un’arte popolare, fatta dal popolo, benché il sistema dell’Arte tenti in tutti i modi di ricondurla alle sue logiche, a costo di staccare muri per vendere il murales sopra di esso, ma grazie alla linfa popolare da cui attinge ha stigmatizzato il dissenso per natura intrinseca. La Street Art dovrebbe essere materia di studio nelle scuole, perché può educare, un approccio graduale con laboratori artistici non ha lo scopo di creare futuri artisti, ma aiuta lo studente a conciliare il naturale bisogno di creare in autonomia (e di pensare…), o in gruppo, senza filtri che siano programmi scolastici e tecnologie che ne sviliscono le capacità manuali. C’è chi crede che l’arte possa aiutare a curare le persone, io credo che l’arte possa aiutare a curare l’ambiente in cui viviamo, ed è qui che serve sensibilizzare le future generazioni, perché l’arte è vita.
Le tue opere possiedono una innegabile qualità performativa, per le grandi dimensioni che consentono allo spettatore di immergervisi, i colori fluo che al buio prendono vita, l’impiego in tecnica mista di materiali luccicanti quali resine e foglia d’oro: quale desidereresti fosse l’effetto provocato nell’osservatore da questa esperienza?
Il mio è un pensiero con origini antiche: prima del secolo scorso l’arte era ancora considerata un’attività di alto artigianato, gli artisti non venivano chiamati tali, tutt’al più Maestri e allievi di bottega, dipingevano e decoravano su commissione e le tematiche erano divulgative, dell’introspezione personale non gliene fregava a nessuno, l’arte decorava in maniera sublime chiese e palazzi nobiliari. Immaginiamoci quindi la suggestione e il coinvolgimento che si poteva provare varcando la soglia di una basilica illuminata con ceri e candele, che nel buio, con le loro fiammelle, facevano baluginare le aureole dei santi o preziosi mosaici dorati, i dipinti vibravano nella penombra, prendevano vita. L’effetto all’epoca pareva una sorta di attuale 3D, in una chiesa si poteva vivere un’esperienza immersiva, un concetto modernissimo che io reinterpreto con materiali e tecniche recuperate dal nostro bagaglio storico artistico miste a tecniche moderne. Un tributo personale alla nostra cultura ma anche un suggerimento per rileggere il passato.
I cavalli reiterati rappresentano un veicolo fra i mondi, strumenti di passaggio fra dimensioni diverse. La tua arte e la tua poetica contemplano la trascendenza?
La trascendenza è il viaggio che compio tra il processo creativo e quello realizzativo, il bambino che c’è in me immagina e l’artista virtuoso realizza. I cavalli rappresentano la forma più istintiva e se vogliamo più elementare del mio gioco con il colore. Nell’arte il cavallo è la creatura nobile per eccellenza, ma dopo averlo disegnato perfettamente corretto in tutte le sue parti anatomiche, non ci ho giocato, ho fatto didascalia. Quindi rompo lo schema accademico non rappresentandoli mai completamente, non si inquadrano mai a pieno nelle tele, cerco di farli uscire, come se ci fosse un racconto da interpretare prima della tela e dopo, tralasciando qualche dettaglio in maniera funzionale alla dinamica del suo movimento. Aggiungo e tolgo, una lezione imparata dalla gestaltica.
I rapporti di forza ricorrenti e necessari manifestati dagli animali emblematici: cavalli, tori, leoni e galli combattivi, rappresentano il senso di un imprescindibile bilanciamento di forze da cui la vita dell’uomo è costantemente strutturata e accompagnata?
Gli animali mi aiutano ad indagare sui sentimenti che interagiscono con le nostre vite. Ammiro l’elegante istintività degli animali, prede o cacciatori, gregari dell’uomo o spietati tutori delle principali leggi della natura per la sopravvivenza. Gli animali imparano dagli errori, se una cosa fa male non la ripetono, l’umanità invece no, continua nell’errore anche quando sa che è sbagliato, ma del resto noi ci siamo evoluti, o forse meglio porla come domanda: noi ci siamo davvero evoluti? Mi piace contrapporre l’istinto funzionale degli animali al pragmatismo disfunzionale degli esseri umani.
La nuova avventura imprenditoriale nel campo dell’arte, iniziata a Venezia con lo spazio espositivo aperto in cooperazione con un’associazione di artisti-amici, quali obbiettivi si propone di portare avanti per l’arte contemporanea?
Per ora si tratta di un’avventura iniziata a piccoli passi nell’ambito delle attività di un’associazione culturale no profit. L’idea nasce innanzi tutto dalla volontà di Alessandra Parmeggiani, artista e scrittrice (ha appena pubblicato “Il Mistero della Galea” per Casa Editrice El Squero) appoggiata in seguito da un manipolo di artisti con la stessa passione e l’obbiettivo di evolverla in una realtà efficace a 360 gradi nel campo dell’arte. La prima iniziativa vede una open call for Artist dal titolo “Art for Planet”, come si evince dal titolo il tema è legato alle questioni ambientali. Il 17 di aprile si inaugura la mostra virtuale dei partecipanti alla selezione, che vedrà da Luglio fino a Novembre la mostra in presenza, in Calle della Pazienza, praticamente in Campo Santa Margherita. Seguiranno delle collettive e personali a rotazione: la finalità oltre che offrire una vetrina in pieno periodo della Biennale di Venezia è quella di creare una condivisione tra artisti e fare rete di progetti e di intenti non solo pittorici. Non posso altro che suggerire di seguirci sui canali social e proporre la partecipazione!
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