Quarant’anni e non sentirli, quarant’anni a calcare i palchi del mondo. Il baritono Marzio Giossi si è imposto all’attenzione del pubblico come vincitore di numerosi concorsi, ma la sua vita è l’opera, cantando come baritono nei ruoli principali di innumerevoli opere, cimentandosi in vari stili e compositori. Definito: autentico tipico baritono lirico verdiano. L’occasione di incontrare il Maestro Giossi è stata durante l’opera Rigoletto, contraddistinto da una freschezza recitativa e vocale non indifferente e una grande umanità. Abbiamo avuto una piacevole conversazione, di seguito quello che ne è emerso.

Buongiorno Maestro, come prima cosa le vorrei chiedere: come nasce Marzio Giossi, i suoi studi e quando ha avuto l’intuizione che il canta sarebbe stato la sua vita?

Voglio ringraziare prima di tutto la redazione per la possibilità che mi date di parlare della mia carriera artistica. Marzio Giossi, l’artista, nasce con una grande passione per l’opera lirica, trasmessa dai genitori. In casa mia si è sempre ascoltata l’opera. Ascoltavo i dischi che papà aveva in casa, principalmente Rigoletto e molte altre opere. Ho sempre cantato sin da piccolo le arie delle opere che ascoltavo; mi travestivo e mi mettevo dietro i tendaggi della casa dei miei genitori, facendo finta che fossero un sipario. Ho iniziato i miei studi a Bergamo, la mia città natale, sotto la guida di Giuditta Paris. A un certo punto capii di aver bisogno di un salto di qualità e, grazie a mia moglie, all’epoca la mia fidanzata, conobbi una maestra di Bologna, la professoressa Clotilde Ronchi: qui si aprì un nuovo mondo e, grazie a questa insegnante, ancora oggi la mia voce gode di buona salute.

Quando è avvenuto il suo debutto?

Il debutto è avvenuto grazie alla vincita del concorso Mattia Battistini di Rieti, a cui partecipai nel 1984. Vinsi i ruoli di Marcello in Bohème e di Silvano in Pagliacci. Fui scelto e diretto dal Maestro Maurizio Rinaldi, e la direzione in palcoscenico, ovvero la regia, era di Franca Valeri. Quest’ultima fu la mia primissima regista e ha sempre creduto nelle mie qualità sia vocali che interpretative, anche se dal punto di vista attoriale ero veramente, come diceva lei all’inizio, „inamovibile”; non riuscivo a coordinare il movimento con il suono della voce. O cantavo o mi muovevo, quindi è stato un approccio un po’ traumatico tra il recitare e cantare. Franca Valeri mi ha sempre spronato e un po’ anch’io, con la mia volontà, sono riuscito a superare questo scoglio. Tanto è vero che oggi (grazie appunto alla tecnica, che per me è un discorso basilare) e alle nozioni sceniche che mi sono state date all’inizio della mia carriera, penso di essere un buon interprete. Aggiungo anche che, grazie alla musica e a tutto quello che i nostri compositori hanno scritto, non ho mai frequentato un corso di arte scenica; anzi, tutto quello che propongo è sempre frutto della mia sensibilità musicale e artistica che viene fuori. Diciamo che, lavorando anche con grandi registi come Luca Ronconi, Nikolaus Joel, Arnaud Bernard, sono riuscito a raggiungere un livello molto alto dal punto di vista attoriale. Sono stato diretto da grandi direttori, partendo da Claudio Abbado, Maurizio Rinaldi, Riccardo Muti e tanti altri che adesso non sto a elencare.

Come si prepara ad interpretare un ruolo?

La preparazione di un ruolo è sempre una cosa molto complicata perché si deve entrare anche nella psicologia del personaggio. Per esempio, il ruolo di Rigoletto non è sufficiente, secondo me, conoscerlo solo dal punto di vista vocale per le varie problematiche che il ruolo stesso comporta, ma bisogna proprio mettersi nei panni del personaggio. Io guardo molto quello che i compositori hanno scritto nelle didascalie e le faccio mie. Diciamo che ci sono dei ruoli dove ti senti veramente molto coinvolto e molto preso e bisogna stare molto attenti, ma la preparazione, soprattutto musicale, di un ruolo avviene al pianoforte, affrontando i vari ostacoli che lo spartito ti mette sotto dura prova. Cantandolo nel mio studio, ovviamente da solo perché studio per conto mio, scopro anche tante sfaccettature del personaggio che a volte non sono messe in risalto. Comunque, la preparazione di un ruolo è sempre molto complicata e delicata. E aggiungo anche questo: nonostante un ruolo lo abbia interpretato tantissime volte, come Germont nella Traviata, Rigoletto, Tosca, e altri ruoli che canto spesso, come L’elisir d’amore e Lucia di Lammermoor, ogni volta è come la prima volta. Ogni volta che riapro lo spartito, devo andare a cercare sempre qualcosa di nuovo per arricchire il personaggio e anche la propria conoscenza per quanto riguarda lo sviluppo del personaggio.

Ci racconti un aneddoto legato alla sua carriera?

Uno in particolare: il giorno del mio debutto, lì veramente provai un’emozione grandissima. Lei pensi che io vengo da una famiglia molto umile, la mamma era una casalinga e mio padre era un operaio. Io facevo il fattorino della casa musicale Carrara di Bergamo e magazziniere, e poi ritrovarmi su un palcoscenico con un teatro pieno e cantare, fare quello che amavo nella vita, può capirmi, è stata un’emozione grandissima ma ben dominata comunque. E alla fine sentire il tripudio di applausi è stata un’emozione che ancora oggi mi fa venire la pelle d’oca. Un’altra esperienza che ho vissuto all’inizio della mia carriera, ma già un pochino più avanti dal debutto, è stata avere il grande onore e la grande soddisfazione di cantare Lucia di Lammermoor a fianco di Alfredo Kraus e Luciana Serra al Teatro Regio di Parma. Cantare a fianco di questi colossi, queste persone, questi artisti così immensi, ti pone molte domande, del tipo: „Ho l’altezza di arrivare al loro traguardo? Ho l’altezza di cantare come cantano loro?”. La risposta che mi diedi, fu no. Avevo 24 anni e la mia preparazione tecnica non era all’altezza della loro. Fu allora che cominciai i miei studi a Bologna con la professoressa Ronchi. Ricordo anche un’altra cosa molto bella, la prima audizione che feci con Luciano Pavarotti a Modena. Ero stato scelto dal teatro per fare il ruolo di Sharpless in Madama Butterfly, anche qui all’inizio della mia carriera. Il teatro mi segnalò come giovane cantante a Luciano Pavarotti e in quell’occasione anche lì fu una situazione veramente di un’emozione indescrivibile, però Luciano Pavarotti ebbe delle parole veramente molto incoraggianti.

Qual è la sua esibizione che le è rimasta impressa e perché?

L’esibizione che mi è rimasta più impressa… bella domanda, di esibizioni ce ne sono tante. Ricordo con grande piacere, anche un po’ di malinconia, una produzione di Roberto Devereux fatta al Teatro dell’Opera di Monte Carlo, dove veramente è stata una cosa indimenticabile. Un’altezza artistica immensa, quella sala meravigliosa, costumi d’epoca, una scenografia bellissima, colleghi famosissimi: Mariana Nicolesco, Giuseppe Sabbatini, Gloria Scalchi, la direzione di Evelino Pidò e la regia di Jonathan Miller. È stata una cosa indimenticabile. Come indimenticabile è stato, ad esempio, non un ruolo primario, ma nello storico Viaggio a Reims, diretto da Claudio Abbado, con tutto il cast storico e la regia di Luca Ronconi. Con Samuel Ramey, Chris Merritt, Valentina Terrani, Lella Cuberli, William Matteuzzi, Ruggero Raimondi, Enzo Dara, nomi che sono sull’enciclopedia.

Pensando ai premi che le sono stati conferiti, a quale è più legato?

Dei premi che mi sono stati conferiti, sono legato particolarmente a uno, e questa domanda „casca a fagiolo”. Sono molto legato al Premio Mascagni d’Oro che ho ricevuto a Bagnara di Romagna, dove c’è un’associazione che porta avanti il nome di Mascagni, perché Mascagni ha lasciato a Bagnara di Romagna tutta la sua documentazione epistolare e anche i manoscritti. La principale fonte di studi mascagnani è Bagnara di Romagna e mi è stato conferito il premio Mascagni d’Oro, anche se io Mascagni non l’ho cantato molto. Però ho fatto Cavalleria Rusticana, ho fatto L’amico Fritz, ho studiato I Rantzau, e questo premio mi ha veramente gratificato per tanti sacrifici che si fanno durante una carriera artistica.

Proprio quest’anno lei festeggia quarant’anni di carriera, come lo vive questo anniversario?

Lo vivo un po’ come una cosa surreale, un po’ come una cosa che si tocca con mano grazie a tutto lo studio tecnico e tutto il repertorio fatto, adeguato alla mia vocalità. La somma di tutto è la voce sana, la tecnica che aiuta a portare avanti un messaggio artistico di alto livello. Non avrei mai immaginato di arrivare a un traguardo così importante. 40-41 anni di carriera, non tutti li possono vantare. Infatti è uscito un doppio CD, un album di Arie Verdiane, un percorso verdiano dove parto da Nabucco e arrivo a Falstaff, la registrazione di tutti questi anni messa insieme in due CD e vedo che sta piacendo molto. A tal proposito vorrei ringraziare la Kicco Music nella persona di Giovanna Nocetti, che ha pubblicato questo doppio album.

Dopo così tanti anni quali emozioni sente ancora prima di salire sul palco?

L’emozione della prima volta; come le dicevo, per me ogni recita, ogni teatro, ogni situazione merita di essere considerata la prima volta, con la consapevolezza però di sapere quello che devo fare. Mi spiego meglio: in gioventù, sì, c’era lo studio, ma c’era anche molto istinto; oggi c’è l’istinto ma molta più consapevolezza di quello che devo affrontare. Ma l’emozione nel salire sul palco, qualsiasi palco sia, per me non esistono grandi situazioni o piccole situazioni, qualsiasi sia comporta l’emozione della prima volta e comporta la responsabilità di fare bene il proprio lavoro e di poter fare bella figura anche con i colleghi che cantano con me e fare bella figura a chi mi scritturata. Quindi la responsabilità è sempre molto alta e soprattutto sono molto alte anche le aspettative che ho io su di me, per cui l’emozione è sempre palpabile in qualsiasi situazione e in qualsiasi contesto in cui mi trovi.

Quali sono i suoi progetti futuri?

I miei progetti futuri sono quelli di continuare a frequentare i teatri. In questo periodo mi sto dedicando molto ai teatri di tradizione. Un altro progetto al quale mi sono dedicato e continuerò a dedicarmi è un progetto rivolto ai giovani. Ho fondato in passato il concorso Giovanni Battista Rubini di Romano di Lombardia in provincia di Bergamo dove mi mettevo a disposizione dei giovani per poter fare con loro un’esperienza completa di montaggio di un’opera. Mettevamo i ragazzi in condizione di cantare con un’orchestra e debuttare un ruolo e poter fare una masterclass di tecnica vocale, di recitazione e poter portare avanti un discorso di questo tipo. Sono stato presidente dell’associazione Mario Del Monaco di Modena dove ho fatto delle audizioni per dare la possibilità ai ragazzi di poter fare dei concerti con noi e questo è stato veramente molto gratificante anche per l’associazione perché abbiamo sentito delle voci veramente molto interessanti. Ho uno studio di canto dove ho non moltissimi allievi perché non ne voglio tanti, però ho ragazzi che stanno facendo una bella strada artistica, uno su tutti: Niccolò Lauteri di 22 anni che quest’anno ha debuttato al Festival dei Due Mondi di Spoleto dove lui non aveva mai cantato. Ha debuttato nel ruolo principale di Macbet. Mi sto dedicando ai giovani perché vedo che i ragazzi hanno proprio voglia di imparare e di essere anche spronati perché stiamo passando un periodo molto particolare, nel quale i ragazzi devono essere spronati sempre, vista la situazione dei teatri che non è ovviamente rosea (non lo è mai stata, ma in questo periodo è veramente complicata), i ragazzi non si sentono incentivati, non si sentono sostenuti, hanno bisogno anche proprio del sostegno morale.

Ripensando a tutti questi lunghi anni di carriera, c’è qualcuno al quale vorrebbe dire grazie?

Vorrei ringraziare innanzitutto la mia famiglia, che mi supporta sempre, anche nei momenti di sconforto, durante una carriera così lunga. Non è tutto oro quello che luccica, e ci sono stati momenti di ripensamento e sconforto professionale. Se non si ha una famiglia unita e forte che ti sorregge, questi possono diventare problemi esistenziali molto importanti. Ringrazio quindi mia moglie e i miei figli, che mi hanno sempre sostenuto. Un ringraziamento speciale va a mia madre, che ha sempre creduto in me, aiutandomi fin dall’inizio. È stata la mia prima fan e ha fatto grossi sacrifici per farmi studiare e permettermi di realizzare il mio sogno di fare il cantante. Ringrazio poi tutti i miei fan, gli amici, il pubblico, le associazioni e i teatri che mi hanno aiutato a portare avanti la mia carriera e a mostrare quello che so fare. Ho studiato solo con donne: all’inizio a Bergamo con Giuditta Paris e poi perfezionandomi a Bologna con la professoressa Ronchi, che mi ha dato la consapevolezza di cosa significa cantare con la giusta tecnica. Queste sono le cose che mi vengono in mente in questo momento, un momento particolare della mia carriera. Voglio ringraziare di cuore tutte le persone che mi hanno sostenuto, ma in particolare la mia famiglia, che è sempre al mio fianco.